Omicidio Stradale

L’omicidio stradale è stato introdotto nel marzo del 2016, con la legge 41/2016. Questa ha introdotto un nuovo articolo, il 589-bis, del codice penale. La novità principale è la previsione di una pena molto alta, da 8 a 12 anni, per chi causa un omicidio al volante «per colpa», trovandosi in stato di grave ebbrezza (più di 1,5 g di alcol per litro di sangue) o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.

La stessa pena si applica anche a chi ha un tasso alcolemico compreso tra 0,8 g/L e 1,5 g/L, se il conducente è un neo-patentato o se esercita professionalmente l’attività di trasporto di persone o di cose su mezzi pesanti.

La pena va poi da 5 a 10 anni se il tasso alcolico del guidatore è compreso tra 0,8 g/L e 1,5 g/L e l’omicidio è causato da condotte pericolose (eccesso di velocità, guida contromano, passaggio col rosso agli incroci, inversione di marcia su intersezioni, curve e dossi, e alcuni tipi di sorpasso).

Se non si rientra in queste ipotesi – perché l’ebbrezza è lieve, cioè compresa tra 0,5 g/L e 0,8 g/L, o perché è inferiore all’1,5 g/L ma non ricorrono le altre condizioni ricordate sopra – allora la pena è la reclusione da 2 a 7 anni, la stessa che era prevista anche prima  dell’introduzione dell’omicidio stradale per i casi di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme stradali.

La pena aumenta se muore più di una persona, fino a un massimo di 18 anni di carcere, ed è diminuita della metà quando l’omicidio stradale, anche se causato da condotte imprudenti, non è conseguenza solo dell’azione del colpevole.

Gli effetti della legge

E’ presto per dire quale siano state le conseguenze della legge dalla sua introduzione all’inizio del 2016: lo ha riferito a febbraio 2019 la Direzione centrale per le statistiche sociali e il censimento della popolazione dell’Istat, nel corso di un’audizione alla Camera. Dopo febbraio l’Istat non ha diffuso altre statistiche o informazioni in proposito e dunque possiamo ritenere che le valutazioni siano ancora in corso.

Possiamo comunque notare come gli incidenti letali sulla strada siano in calo nel 2018 rispetto al 2017 (-1,4 per cento) e, soprattutto, come si siano più che dimezzati negli ultimi 18 anni (dunque il calo più consistente è precedente all’introduzione dell’omicidio stradale).

Le infrazioni al codice della strada per guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti sono rimasti stabili dal 2014 in poi e hanno causato negli anni recenti il 10 per cento degli incidenti e il 6,5 per cento circa di quelli letali.

Ma se il guidatore non ha colpa?

La normativa sull’omicidio stradale è aspramente criticata dagli esperti per la sua eccessiva rigidità, che sembra ostacolare il dovere del giudice di verificare in concreto se ci sia stata colpa (con la complicazione ulteriore delle forme della colpa cosciente e del dolo eventuale, che evitiamo qui di approfondire), quanto grave questa sia stata e se tra essa e l’evento (la morte della vittima) sussista un nesso di causa/effetto.

Prendiamo ad esempio un caso particolare: quello del guidatore che è in stato di ebbrezza anche grave (più di 1,5 g/L), o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, investe e uccide una persona ma dalla dinamica dei fatti risulta incolpevole.

Pensiamo al caso di un pedone che nel cuore di una notte di temporale, in una strada non illuminata, attraversa di corsa col rosso e di un guidatore che, a parte lo stato di ebbrezza, non commette alcuna infrazione quanto a limiti di velocità, fari funzionanti e via dicendo, lo investe e lo uccide. Il guidatore sarà chiamato a rispondere di omicidio stradale?

La questione è giuridicamente molto complessa e dibattuta tra gli esperti di diritto, ma la risposta – almeno in via teorica – è negativa. In base alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, al principio costituzionale di colpevolezza e anche al testo dell’art. 589 bis che parla esplicitamente di “colpa”, per punire il guidatore è infatti necessario che ci sia un nesso di causa/effetto tra la condotta sanzionata (la guida in stato di ebbrezza) e la morte della vittima.

Cioè, come scrive la Cassazione penale nella sentenza 24898 del 2007,  quel nesso non può darsi per scontato soltanto perché il guidatore era ubriaco o drogato, se si dimostra che l’incidente si sarebbe comunque verificato per altre ragioni che non si possono imputare soltanto al conducente.

Per esempio, se il pedone è un suicida che si getta sotto le ruote di un’automobile che procede rispettando tutte le norme stradali, non ha alcuna importanza che il guidatore sia ubriaco o meno. Pagherà la sanzione per l’illecito di guida in stato di ebbrezza, nel caso, ma non sarà chiamato a rispondere di omicidio stradale. Il pedone sarebbe infatti morto anche se fosse stato perfettamente sobrio.

In concreto è ovviamente molto difficile, tolti i casi estremi, stabilire il nesso di causalità tra lo stato di alterazione e la morte della vittima. Si pensi al caso di un guidatore che ha assunto marijuana 48 ore prima dell’incidente: in quel momento non è più in stato di alterazione e dunque non dovrebbe rispondere di omicidio stradale. Eppure con i test che rivelano la presenza di sostanze stupefacenti nel sangue rischierebbe di essere accusato ugualmente, in quanto risulterebbe probabilmente positivo.

La normativa sull’omicidio stradale inoltre è molto criticata per l’essere stata creata “in via emergenziale”, in risposta a un’emergenza che nasce più dalla cronaca che dai dati. Le pene previste potrebbero poi essere troppo elevate, rispetto a quelle previste per altri reati più gravi, e dunque ci potrebbe essere una violazione del principio di proporzione tra gravità del fatto e durata della pena.

Queste critiche fanno perno su una serie di garanzie costituzionali – come il principio di colpevolezza, il principio di proporzionalità e di ragionevolezza – e dunque, se fossero ritenute fondate dai giudici nei singoli casi, potrebbero di fatto ammorbidire in concreto l’applicazione delle norme sull’omicidio stradale.

Conclusione

L’omicidio stradale introdotto nel 2016 ha reso molto più severe le pene per chi, alla guida in stato di ebbrezza o alterazione psicofisica, causa la morte di un’altra persona. La normativa, che ha inserito diverse presunzioni e limiti aspramente criticati dagli esperti di diritto, non è comunque in grado di superare il limite costituzionale del principio di colpevolezza.

In base a questo, è necessario che la condotta punita – la guida in stato di ebbrezza o alterazione – sia nel caso concreto la causa della morte della vittima: se la morte sarebbe avvenuta comunque, il guidatore risponderà dell’illecito di guida in stato di ebbrezza o alterazione ma non sarà accusato di omicidio stradale. Questa valutazione spetta al giudice, che decide in base alle circostanze del singolo caso.

(Fonte: www.agi.it)